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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi - dal 2010-02-24 ad oggi 2010-02-24

La scuola alla prova del federalismo

Nell'istruzione, da cui dipende il nostro destino d'individui e di nazione, lo stato ha fallito.

Un sistema scolastico centralizzato e uniforme ha spaccato in due l'Italia.

Il Nord-Est e ancor più le province autonome di Trento e Bolzano vantano risultati di apprendimento che li collocano ai vertici delle classifiche mondiali.

Il Sud e le isole crollano a livelli che solo eufemisticamente si potrebbero giudicare da Terzo Mondo.

La riforma federalista dell'istruzione, decisa dalla modifica del Titolo V della Costituzione ma non ancora attuata, potrebbe sanare questo divario, a determinate condizioni; rischia invece di peggiorarlo.

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Dalessandro Giacomo

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Il Mio Pensiero (Vedi il "Libro dei Miei Pensieri"html PDF ):

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Rapporto sulla scuola in Italia 2010 /

Qualità, finanziamenti, differenze geografiche

24 febbraio 2010

24 febbraio 2010

AVVENIRE

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2010-02-24

 

 

 

 

 

 

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il SOLE 24 ORE

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2010-02-24

La scuola alla prova del federalismo

di Andrea Casalegno

24 febbraio 2010

La scuola sul filo federalista. Nella foto il ministro dell'Istruzione e dell'università, Mariastella Gelmini

"Dai nostri archivi"

QUESTIONE MERIDIONALE / Due Italie anche nell'istruzione

"Scuola, scatto d'orgoglio"

Da Fioroni piano da 5milioni di euro per l'emergenza formativa

Politici in vetrina: invia le foto dei manifesti elettorali della tua città

Verso le elezioni: decalogo di Confindustria sull'istruzione

Nell'istruzione, da cui dipende il nostro destino d'individui e di nazione, lo stato ha fallito. Un sistema scolastico centralizzato e uniforme ha spaccato in due l'Italia. Il Nord-Est e ancor più le province autonome di Trento e Bolzano vantano risultati di apprendimento che li collocano ai vertici delle classifiche mondiali. Il Sud e le isole crollano a livelli che solo eufemisticamente si potrebbero giudicare da Terzo Mondo.

La riforma federalista dell'istruzione, decisa dalla modifica del Titolo V della Costituzione ma non ancora attuata, potrebbe sanare questo divario, a determinate condizioni; rischia invece di peggiorarlo. Questo, in sintesi, è il giudizio del secondo Rapporto sulla scuola della Fondazione Giovanni Agnelli di Torino, diretta da Andrea Gavosto, presentato oggi a Roma nella sede della casa editrice Laterza che l'ha pubblicato.

La misura del fallimento. Gli estensori del Rapporto – Gianfranco De Simone, Andrea Gavosto, Marco Gioannini, Stefano Molina e Alessandro Monteverdi – hanno rielaborato la ricca messe di dati forniti dalle indagini Ocse-Pisa sulle competenze dei quindicenni in lingua, matematica e scienze; hanno analizzato i dati complessivi del ministero dell'Istruzione e persino i bilanci delle singole scuole; hanno commissionato ricerche originali, dall'impiego per la didattica delle nuove tecnologie informatiche e dell'accesso a Internet alle caratteristiche dei docenti neoassunti nel 2009 in sette regioni (Campania, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Puglia, Veneto). Ne emerge un'Italia che spende notevolmente per l'istruzione ma ottiene risultati mediocri, e soprattutto disastrosamente disomogenei.

Nei punteggi delle prove Pisa siamo sotto la media Ocse. Ma è la percentuale degli espulsi dal sistema educativo (drop-outs) che ci colloca fuori dall'Europa: il 20% dei giovani da 20 a 24 anni ha solo la licenza media. La Fondazione calcola che, se tutti i giovani conseguissero il diploma di scuola secondaria superiore, il sistema produttivo darebbe lavoro a un milione e 300mila giovani in più: il 6,3% degli occupati.

E c'è di peggio. Nelle regioni meridionali il 30-40% dei giovani non raggiunge il livello minimo di competenze giudicato necessario, in campo internazionale, per essere cittadini attivi di uno stato moderno: comprendere e applicare alla soluzione dei problemi quotidiani un testo semplice o un elementare problema numerico. Chi studia nelle scuole del Sud ottiene, in media, 68 punti Ocse-Pisa meno di chi frequenta le aule del Settentrione: l'equivalente di un anno e mezzo d'istruzione. I paesi al vertice della classifica Ocse sono gli stessi che riducono al minimo il divario di risultati tra regioni, tra famiglie, tra ordini di scuole, tra le singole scuole. In Italia scarsi risultati medi convivono con differenze di livello abissali.

Iniquità e inefficienza. La scuola italiana fallisce anche come canale di promozione sociale. Il divario familiare, misurato dal titolo di studio dei genitori, e quello del contesto ambientale contano, per la determinazione dei risultati, assai più del talento individuale. E i record negativi non finiscono qui. A poco ci serve disporre di un corpo insegnante fra i più numerosi, con appena 10 allievi a testa, poiché esso è incapace di rinnovarsi. I nostri docenti sono i più vecchi d'Europa. L'età media dei nuovi assunti 2009 è di 40 anni (42,2 in Campania e Puglia). Come stupirsi che, secondo il Rapporto, solo il 6% dei docenti ritenga le tecnologie informatiche "un supporto insostituibile per il lavoro dell'insegnante"?

Investiamo in istruzione il 3,5% del Pil, leggermente meno della media Ocse del 3,8%, ma la nostra spesa annua per studente è assai sopra la media: 7.716 dollari, a parità di potere d'acquisto, per un alunno della primaria (media Ocse 6.437) e 8.495 dollari per la secondaria (media Ose 8.006). L'esborso dipende dal numero dei docenti che, compresi i precari, sfiora il milione. Ma i risultati di questa spesa sono disomogenei, oltre che mediocri: il Rapporto calcola che un punto Ocse-Pisa in più costa 113 euro in Veneto, 130 in Sicilia, 144 in Basilicata, 165 in Trentino, computando la spesa pubblica per studente dalla primaria al 15° anno.

La frontiera del federalismo. In mancanza di azioni perequative il sistema educativo andrà incontro al disastro. La razionalizzazione di spesa prefigurata dal federalismo produrrà consistenti risparmi, poiché calerà il numero dei docenti. Ma le somme risparmiate, afferma la Fondazione Agnelli, devono restare nella scuola ed essere investite per raggiungere due obiettivi fondamentali: ridurre l'abbandono scolastico e i tassi di ripetenza a un fisiologico 5-10% ed elevare i livelli d'apprendimento degli studenti.

Tanto più, avverte la Fondazione, che il piano triennale per la scuola varato dal ministro Mariastella Gelmini prevede già notevoli risparmi: un federalismo orientato esclusivamente al contenimento dei costi rischierebbe di ottenere solo risparmi marginali, più dannosi che utili.

L'attuazione del federalismo nell'istruzione, insomma, non dev'essere orientato agli input, cioè al contenimento della spesa delle regioni, bensì agli output, ovvero a migliorare i risultati regionali di apprendimento. Lo stato deve farsi carico delle situazioni di svantaggio e fornire tutte le risorse aggiuntive necessarie per contenere il fenomeno degli abbandoni e per garantire a tutti un livello d'apprendimento degno di un paese moderno.

Ma non senza condizioni. Le regioni che ottengono risorse in più devono raggiungere questi due obiettivi in tempi ragionevoli: in tre o cinque anni, a seconda del livello di partenza. I necessari controlli non vanno fatti alla fine degli studi, quando ormai è troppo tardi, ma in corso d'opera, con cadenze biennali o triennali, garantendo interventi immediati per rimediare alle insufficienze. Se le regioni non saranno capaci di raggiungere questi obiettivi in tempi certi, l'istruzione dovrà essere commissariata.

SCHEDE / Qualità, finanziamenti, differenze geografiche

 

 

 

 

QUESTIONE MERIDIONALE / Due Italie anche nell'istruzione

di Luigi Berlinguer

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23 Agosto 2009

Nell'esplosione della questione meridionale si sono scoperti stanziamenti dirottati, disinvoltura della finanza creativa, numeri e cifre allarmanti. Come testimonia il dibattito sul Sole 24 Ore la questione meridionale si è ulteriormente aggravata ed è tornata ad essere grande questione nazionale. Quel titolo "Mezzogiorno in fondo all'Europa", non solo in fondo all'Italia, colpisce per la sua crudezza. Altri elementi arricchiscono l'analisi. Bankitalia sul costo della vita, i dati sulla povertà, sulla forbice reddituale, sulla debolezza della struttura produttiva, sui maggiori costi della sanità.

Ci si dovrebbe però soffermare su un aspetto ancora in ombra: la crisi del sistema educativo nel Mezzogiorno d'Italia. Premetto che gli indicatori non sempre sono "tarati" nella giusta misura e che non mancano le eccezioni. A proposito del contesto culturale l'Istat afferma che in Friuli e nel Nord in complesso le persone con più di 6 anni che abbiano letto almeno un libro nel corso di un anno sono il 53% contro il 30 di Campania e Sicilia e il 29 della Puglia. Stesso abisso per le visite a mostre e musei.

Per la prima volta da decenni, i livelli di preparazione di uno studente - dalle elementari alla conclusione del ciclo di studi secondari - cominciano a mostrare significative differenze tra Nord e Sud del Paese. I dati Ocse-Pisa lo confermano: alcune regioni del nord-Italia sono sopra la media Ocse-Pisa (matematica, lettura, scienze...); la Sicilia è in tutte e tre le discipline sotto quella media. Altri dati indicano la cosiddetta "varianza" da scuola a scuola: la media nei Paesi Ocse è del 33% in Italia supera il 52%. Ciò significa che in Italia l'uniformità di apprendimento è oggi messa fortemente in discussione. È il campanello d'allarme di un sistema che non funziona più. Nei Paesi evoluti merito e eccellenza vanno di pari passo con la qualità media della scuola. Nel mondo scandinavo i dati dimostrano come a una media elevata corrispondano elevate eccellenze. Quindi il merito non va perseguito per pochi ma è da pretendere per tutti. In Italia gli istituti tecnici e quelli professionali registrano risultati peggiori rispetto ai licei. Alligna in questo dato "nazionale" una organizzazione della nostra scuola secondaria socialmente discriminatoria specialmente nel Mezzogiorno. Non è un caso che in Friuli o in Trentino la performance degli istituti tecnici sia praticamente eguale a quella dei licei.

Il divario del Sud con il resto d'Europa e con il resto d'Italia è sintetizzato in un acronimo, Escs (Ecomic social cultural status). Sono proprio le condizioni economiche, sociali e territoriali che producono il "cattivo rendimento" delle scuole nel nostro Mezzogiorno (incidono su base cento per il 27,6). Gli investimenti degli enti locali per studente (fonte: ministero Pubblica istruzione, anno di riferimento 2007) dicono chiaramente che se il Friuli investe 1.309 euro a studente, la Puglia ne investe 569, la Campania 614 e la Sicilia 657. La scuola nel Mezzogiorno, anche qui salvo eccezioni, non è un ascensore sociale. Registra l'ingiustizia sociale, ma non può combatterla. Dai dati di Legambiente (Ecosistema scuola 2009) si scopre che il Sud investe poco in edilizia scolastica e arretra sempre di più nel confronto con il resto d'Italia.

I dati nel mondo sull'informazione culturale-formazione degli studenti dicono che mentre 50 anni fa tutto avveniva dentro le mura della scuola, oggi il 70% della formazione-informazione arriva da fuori. Da sola la scuola forma per una quota minoritaria. Da sola la scuola non ce la fa. Il contesto è decisivo nella formazione, così come la capacità di incrociare attività esterne e interne. La tragedia del gentilismo, l'impianto educativo solo gnoseologico e formalizzato, inutilmente autoritario, penalizza soprattutto il Mezzogiorno.

Il grande obiettivo mondiale dell'education è insegnare a capire, stimolare ed armare gli studenti a conoscere e a capire. È l'intreccio di saperi e competenze: sapere significa vivere e risolvere.

La resistenza all'innovazione didattica è più forte nella media delle scuole del Mezzogiorno - salvo qualche straordinaria esperienza di eccellenza. La società circostante non aiuta, non chiede merito ma voti formali buoni per i concorsi pubblici. I voti degli ultimi esami di "maturità" nel Sud sono stati più alti che nel resto d'Italia. Quello che buona parte della società chiede nel Sud è un pezzo di carta "certificante", non la cultura del risultato, cioè la traduzione del sapere in innovazione nella vita dei cittadini di domani. Anche l'Italia è così al cospetto dell'Europa, ma il fenomeno è ormai più grave nel Mezzogiorno.

L'autonomia scolastica, risolutiva, funziona soltanto se si costruiscono reti di scuole. Reti che al sud scarseggiano. La città educativa, ovvero istituzioni e società civile che promuovono le reti e un tessuto educativo cooperativo, è l'altra grande mancanza. Per lo stato delle istituzioni meridionali difficilissima da realizzare. Il grande dramma è il secolare clientelismo eretto a italica istituzione-principe: la raccomandazione. Il circuito parallelo, il favoritismo, la negazione dell'indissolubile binomio diritto/merito, è una caratteristica italiana che al Sud si aggrava. Il principio della raccomandazione diventa una sorta di anticamera delle degenerazioni successive che possono arrivare a rafforzare quei poteri sociali e militari paralleli (quindi contrapposti) allo Stato: dalla sottrazione di circuiti decisori essenziali alle regole, all'obiettività pubblica. Un quarto d'Italia è in queste condizioni.

Da decenni è in corso una guerra nella quale sono state combattute tante memorabili battaglie per il rispetto del diritto. Sono caduti tanti eroi. Si sono ottenuti parziali successi soprattutto quando la mafia è stata vissuta come grande questione nazionale. Ma il trascorrere del tempo, lo scrivo con profondo dolore, rischia di cronicizzare il male in una atroce e rifiutata, ma ahimé sostanziale, convivenza. È di queste settimane la discussione sul "partito del Sud". È una risposta sbagliata a una grande questione nazionale. Lo interpreto come una sorta di sindacalismo politico per ottenere qualche risorsa in più. Ma il problema è dell'Italia tutta. È un problema sociale, culturale e militare che lo Stato ha il dovere di indicare col suo nome, tragica emergenza, con il proposito di sconfiggerla non solo di affrontarla. So che ci sono ombre sempre più cupe di connivenze politiche. E so che questo è l'ostacolo maggiore, ma credo che se quella del Mezzogiorno si propone come grande emergenza nazionale si può tentare di far maturare le condizioni per vincere la guerra e non per combatterla in trincea a tempo indeterminato. E senza la scuola in prima linea al fianco di una società meridionale protagonista questa guerra non si vince.

23 Agosto 2009

 

 

 

 

 

"Scuola, scatto d'orgoglio"

di Luigi Illiano

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Continuità con quanto di valido già fatto anche dal ministro Fioroni, scelte condivise tra maggioranza e opposizione, valorizzazione del merito e delle eccellenze, più autonomia e valutazione, stipendi degli insegnanti allineati a quelli dei loro colleghi europei. Sono alcuni dei punti descritti ieri dal ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, durante l'audizione in commissione Cultura alla Camera, dove ha illustrato le proprie linee programmatiche. Ma nelle trentasei pagine lette ai deputati c'è molto altro: citazioni per il Papa, Napolitano, Gramsci ("Lo studio è un mestiere molto faticoso"), Moro, i meridionalisti. Poi, la richiesta di una grande alleanza per la scuola che va lasciata fuori dallo scontro politico e un'esortazione a uno scatto d'orgoglio nazionale, per far risalire la qualità del sistema d'istruzione dal fondo delle classifiche internazionali sull'apprendimento.

"Oggi non intendo fare la lista della spesa", ha detto in premessa Gelmini, ma inevitabilmente l'intenzione non è stata del tutto rispettata. Anche perché l'esposizione delle linee generali di un'intera legislatura non può che essere sintetica ed enunciativa, ai limiti della superficialità. Non a caso al capitolo delle risorse – pur trattandosi della leva strategica per capire come, quanto e quando – sono dedicate appena tredici righe della relazione e non certo quelle più analitiche. Poco spazio, ma il ministro se lo è fatto bastare almeno per dire che "il precedente Governo aveva avviato un piano triennale di contenimento della spesa pubblica nel settore scuola che noi abbiamo ereditato e rispetto al quale non possiamo che procedere". "La coperta è corta", ha ammesso il ministro. E con questa coperta non sarà facile realizzare tutto quanto descritto. Silenzio totale, invece, sulle assunzioni attese da decine di migliaia di docenti, per i quali, probabilmente, si trattava della notizia più importante.

Gelmini non ha nascosto le difficoltà e non ha usato mezze misure. A partire dal pessimo piazzamento dei quindicenni nelle indagini Ocse-Pisa, passando per il burrone che divide il Nord dal Sud dell'Italia, sul piano dei risultati, della dispersione e degli abbandoni.

"Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola superiore, dopo 15 anni di insegnamento è di 27.500 euro lordi all'anno". In Germania, ha osservato il ministro, lo stesso docente guadagnerebbe 20mila euro in più. In Finlandia 16mila. La media Ocse è superiore a 40mila euro. "Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media Ocse", ha detto ancora Gelmini. E proprio riferendosi ai docenti, ha sostenuto che sono troppi e poco pagati. Il riconoscimento dello status professionale è uno dei nodi da sciogliere.

Poi l'affondo: "Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata al controllo ideologico che non al recupero dei compiti del sistema, ha prodotto un esito che, credo, né i sindacati, né i partiti, né la società italiana tutta possano ritenere sensato: stipendi da fame, tramonto della cultura del merito, tramonto del senso della scuola. È una sconfitta nazionale cui tutti abbiamo il dovere di reagire".

Sul versante dell'azione di governo, Gelmini ha dichiarato di non voler affidare solo alle leggi di sistema la soluzione dei problemi, promettendo riforme legislative "solo dove è strettamente necessario", privilegiando buona amministrazione, semplificazione e chiarezza degli interventi. "Cercherò, soprattutto, di preservare e mettere a sistema quanto di buono fatto dai miei predecessori", ha detto Gelmini, citando la "circolare Fioroni" sui debiti formativi, confermata, ma resa più agile.

Forse, proprio in considerazione del quadro drammatico, quanto veritiero, tracciato dalla stessa Gelmini, la forte maggioranza della quale dispone il Governo Berlusconi autorizzerebbe, invece, a intraprendere un'azione complessiva, capace di dare identità e configurazione di prospettiva al modello d'istruzione italiana che da molti decenni va avanti proprio a colpi di interventi amministrativi e sperimentali generando solo confusione e frammentazione. Basti pensare agli oltre 900 percorsi di studio attivati nelle superiori. Tasselli che, presi uno alla volta, non finiranno mai per incastrarsi e dare vita a una costruzione modulare e compatta. Rendendo obbligatoria la navigazione a vista.

L'autonomia strettamente connessa alla valutazione è un altro dei punti sottolineati, per mettere fine all'immobilizzante autoreferenzialità della scuola. "Non possiamo rendere piena l'autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi, in trasparenza, come e con quali risultati venga speso il denaro pubblico". Meccanismo da attivare per approdare al riconoscimento oggettivo del merito, per studenti, insegnanti e scuole. Sulle scuole paritarie il ministro ha detto che "tutte le scuole svolgono un servizio pubblico, in quanto tenute a rispondere a precise indicazioni ordinamentali stabilite dal sistema legislativo".

A proposito di scelte condivise, Gelmini ha affermato di essere d'accordo con Fioroni che ha auspicato una "legislatura del buonsenso" e a questo proposito ha citato testualmente parte del programma del Pd per dichiarare la propria convergenza. Così come ha ringraziato il ministro ombra dell'Istruzione, Mariapia Garavaglia. Tra gli impegni immediati, Gelmini ha ricordato che il debutto del nuovo secondo ciclo è fissato per settembre 2009. E per i contenuti si lavorerà soprattutto sulla quarta "I" (dopo Internet, Inglese e Impresa): quella di Italiano. E sulla pari dignità tra percorsi liceali, tecnici, professionali e di formazione regionale. Infine, attenzione particolare all'inclusione dei diversamente abili, all'integrazione degli alunni stranieri. Lotta al bullismo e partnership tra scuola e famiglie "per far fronte alla sfida dell'emergenza educativa".

Quasi sullo sfondo sembra essere rimasta la riforma Moratti.

 

 

Da Fioroni piano da 5milioni di euro per l'emergenza formativa

di Luigi Illiano

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19 dicembre 2007

"Dai nostri archivi"

"Scuola, scatto d'orgoglio"

Scuola, pubblicate in Gazzetta Ufficiale le istruzioni sui crediti formativi

Presentato il quaderno bianco sulla scuola. Prodi: "Rilanciare la formazione tecnica e scientifica"

 

Corsi di sostegno alla scuola media e formazione per i professori. Dopo il pessimo piazzamento degli studenti italiani in coda alla classifica internazionale Ocse-Pisa sull'apprendimento dei quindicenni, il ministero della Pubblica istruzione tenta di correre ai ripari. È soprattutto nella scuola media che si registra l'allarme rosso per la formazione e per questo il ministero della Pubblica istruzione realizzerà, per la prima volta, un piano di azione mirato che prevede corsi di sostegno in italiano e matematica. Uno sforzo aggiuntivo per il quale sono stati stanziati, in prima battuta, 5 milioni di euro per l'avvio delle attività che punteranno saranno finalizzate specialmente sul primo anno. E saranno decise in autonomia da ogni scuola.

Piano di intervento

Il piano di intervento è contenuto nella circolare, firmata oggi da Fioroni, nella quale si individuano, tra l'altro, le strategie di intervento, le attività di sostegno e di recupero e le modalità di utilizzo del personale. Il ministro ha spiegato che alle scuole si chiede di mettere in campo tutte le azioni possibili utilizzando la flessibilità offerta dal 20% dal monte ore previsto

dall'autonomia per attività di recupero e potenziamento. "Le scuole - ha sottolineato il ministro - che intendono aderire al programma dovranno presentare all'ufficio scolastico regionale le proposte di lavoro". A gennaio, poi, scatterà un piano straordinario per la formazione dei docenti. Fioroni ha anche presentato nuovi dati sul rapporto Ocse-Pisa dai quali emerge che il 62% dei quindicenni italiani non sa da cosa dipende la differenza tra il giorno e la notte. "È un'emergenza anche della scuola italiana - ha spiegato Fioroni - ma lo è di tutto il Sistema Paese. Per questo porrò la questione al prossimo Consiglio dei ministri e dopo Natale in un incontro con il premier, Romano Prodi, e il ministro dell'Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, per predisporre rapidamente un piano straordinario che coinvolga anche la riqualificazione e aggiornamento professionale dei docenti". In tutta la scuola media italiana sotto i 31 anni ci sono soltanto due professori di matematica. "Soltanto con una coralità di sforzo del personale docente, degli studenti e delle famiglie si può invertire la tendenza. Il piano straordinario di aggiornamento dei docenti dovrà iniziare dalla scuola media", ha concluso Fioroni spiegando che non si tratta di trovare un capro espiatorio ma di mettere mano dove le lacune si sono dimostrate più evidenti.

La bocciatura

Tre bocciature consecutive. Dalla prima indagine Ocse-Pisa del 2000 all'ultima targata 2006, la scuola italiana è sempre stata sotto la media internazionale e, fatto ancora più grave, ha continuato a perdere posizioni, finendo in fondo alla classifica. Nelle Scienze siamo al 36° posto su 57 Paesi partecipanti e al 28° rispetto ai 30 Paesi Ocse. In matematica gli alunni italiani si collocano al 38° posto con 462 punti contro una media Ocse pari a 498 punti. Infine, nelle competenze in lettura l'Italia occupa il 33° posto. Nei Paesi dell'Unione europea soltanto Repubblica slovacca, Spagna e Grecia hanno fatto peggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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